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La visione e le proposte degli Esperti Promotori della Mobilità Ciclistica per la Fase 2

La Fase 2 secondo gli EPMC

COMUNICATO STAMPA

La visione e le proposte degli Esperti Promotori della Mobilità Ciclistica per la Fase 2

Anticipando un elaborato redatto a fianco di una grande città d’Italia, il Comitato Scientifico dell’Associazione Esperti Promotori della Mobilità Ciclistica riassume qui le prime linee guida, a disposizione successivamente in forma completa di Comuni, Enti ed Amministrazioni Pubbliche, con un punto di vista al quale hanno partecipato il Dott. Alex D’Agosta, l’Ing. Fabio Gon, l’Arch. Renato Moro, il Dott. Daniele Pantini, l’Arch. Nicola Giardina Papa, l’Ing. Marco Passigato e l’Ing. Chiara Ortolani.

Con tempi differenti fra le diverse regioni e nazioni, i cittadini nel mondo attualmente sottoposti a restrizioni dovute alla diffusione del Covid-19 nell’arco delle prossime settimane si ritroveranno a confrontarsi con una lenta ripresa delle attività. Poiché effettivamente la cosiddetta ripartenza sarà graduale, si incontreranno una serie di fasi intermedie alternate, con le misure limitative via via diminuite o ripristinate nell’eventualità di sbalzi nei contagi, dove con ogni probabilità non tutte le persone potranno o vorranno circolare e di conseguenza la mobilità sarà in un primo momento ridotta rispetto alla precedente “normalità”. Auspicando poi che gli spostamenti siano meno frenetici e che l’attenzione alla salute sia generalmente aumentata, si potrebbe perciò pensare che si dovrebbe utilizzare maggiormente la bicicletta anche sui percorsi non dotati di pista ciclabile. Non solo svago, non solo sport, ma le casistiche di spostamenti realmente necessari e utili dovrebbero riscoprire il mondo delle ruote a pedali in questo particolare momento storico non solo perché fa bene alla salute, perché rende felici, perché piace, diverte o è economica. Grazie alla sua intrinseca caratteristica di mantenere l’inesorabile “distanza sociale”, oggi la combinazione della mobilità attiva in bicicletta, a piedi o con i dispositivi omologati della micromobilità è una delle risposte più efficaci alle mutate esigenze di trasporto per tratti di breve e media lunghezza.Non impegnarsi adesso a migliorare concretamente la mobilità con azioni decise rischia di presentare un conto troppo alto, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche nella qualità della vita e sotto tanti altri aspetti. Ad esempio, coloro che non avranno la possibilità di scegliere il mezzo motorizzato privato, gli anziani o, più genericamente, tutti quelli che non potranno sceglierlo o non vorranno utilizzare il mezzo pubblico, si troveranno nella condizione di peggiorare forme già presenti di esclusione sociale per giungere a vere e proprie condizioni di prigionia urbana, vista la difficile accessibilità dei quartieri periferici con mezzi alternativi e sostenibili come la bicicletta.

Anche se è difficile credere che gli amministratori che sono stati sino ad ora così lenti e distratti nel sostenere la mobilità dolce possano convincersi che facilitare l’uso della bicicletta in questo momento così tragico possa rappresentare una priorità, la necessità di doversi spostare può certamente rivelarsi un’occasione per far valere le esigenze che, sino ad ora, la classe dei decisori non è stata in grado di affermare.

Alcuni insegnamenti della transizione verso la fase post Covid-19.
Per partire da numeri chiari e tondi, si può richiamare quanto auspicato negli Stati Generali della Bicicletta e della Mobilità Nuova tenuti il 5 e il 6 ottobre 2012 a Reggio Emilia, dove la “ricetta” dello split modale prevedeva 20% TPL, 20% bici, 20% a piedi e “solo” 40% in auto a livello nazionale. Dati ulteriormente migliorabili grazie a misure d’emergenza. Visto che in città molta gente ha riscoperto ed apprezzato il silenzio, il canto degli uccelli, il poter vivere con le finestre aperte, diventa necessario perciò cercare di non precipitare nuovamente nelle infauste statistiche precedenti dove, a causa dell’elevato traffico, il prezzo sociale di elevate morti premature dovute all’inquinamento e agli incidenti stradali era troppo alto.

Come sarà la mobilità nel periodo denominato “fase 2” del Covid19?
È bene chiarire che non si può generalizzare: ovviamente non sono affatto uguali tutte le città e, al loro interno, le varie aree e quartieri, pertanto a seconda della vocazione più o meno residenziale, turistica, terziaria, universitaria, artigianale o industriale vivranno scenari differenti a seconda di quanto le specifiche attività possano essere svolte o meno in remoto. La fase 2 infatti prevede una riapertura parziale e il mantenimento del distanziamento sociale: due fattori che, specie nella mobilità urbana, portano inevitabilmente a criticità. Poiché la mobilità complessiva potrebbe calare in una percentuale compresa tra il 10 e il 20%, senza tenere conto della possibile estensione del fermo degli istituti scolastici, la mobilità automobilistica potrebbe diventare molto più fluida e così le opportunità di parcheggio. Pertanto la ripartizione modale degli spostamenti sistematici automobilistici, a causa della paura di contagio che farà disertare il mezzo pubblico, con grande probabilità tenderà ad aumentare in modo significativo, superando anche l’intensità esistente prima delle attuali restrizioni. Inoltre, è ipotizzabile che gli automobilisti siano indotti ad adottare comportamenti ancora più scorretti del solito e creare un problema ancora maggiore di sicurezza stradale.

L’effetto dell’inquinamento generato dal traffico
Lo scenario quindi che potremmo ipotizzare è il seguente: aumentando considerevolmente il numero di auto in circolazione, aumenterà il particolato nell’aria. Pertanto la misura preventiva della “distanza sociale” rischiererebbe di essere vanificata perché quella specifica particella delle emissioni dei propulsori endotermici, lo sanno tutti, costituisce causa scatenante di gravi patologie che mettono a dura prova l’apparato respiratorio. In aggiunta, qualora la ricerca scientifica lo dimostri, si potrebbe perfino confermare il sospetto di una seria complicità nella trasmissione del virus da parte delle microparticelle di Pm2,5 o Pm10.

Obiettivi: 4 pilastri per invertire le priorità negli spostamenti
Nell’ottica di diminuire la quota parte dell’automobile nello split modale degli spostamenti futuri, si potrebbe evolvere la struttura attuale che predilige i 2 pilastri di auto e trasporto pubblico a una struttura a 4 pilastri che puntino soprattutto sulla sostenibilità, invertendone le priorità: mobilità pedonale, mobilità ciclistica, trasporto pubblico collettivo, auto privata. Così fatto, si otterrebbero la massima capacità di distanziamento sociale, il minimo innalzamento del particolato di origine antropica e contestuale limitazione delle condizioni ambientali atte ad aumentare la diffusione del Covid-19, l’aumento delle condizioni di sicurezza stradale.

I mezzi più efficaci
Occorre ridefinire la proposta di utilizzo in un nuovo scenario puntando soprattutto sulla mobilità attiva. La modalità pedonale è consigliabile per spostamenti interni ai quartieri, per raggiungere le scuole, i negozi di vicinato e i luoghi del quartiere e in accoppiamento con il TPL per il primo e l’ultimo miglio. La micro mobilità per spostamenti brevi, soprattutto se ci sono piste ciclabili sicure e continue o se il percorso risulta comunque accettabilmente sicuro. La bicicletta, per spostamenti fino a 3 km, ma anche per 5 e più km per persone motivate e allenate, tracciati particolarmente gradevoli o sicuri ed invitanti. In presenza di percorsi sicuri, con le più moderne e affidabili biciclette a pedalata assistita, il raggio d’azione in realtà è dimostrato che si possa moltiplicare di alcune volte. Il Trasporto Pubblico Locale (TPL) condiviso (bus, metropolitane e treni), infine, è ancora consigliabile per studenti (anche se fino a pochi km potrebbero andare in bici), persone che hanno l’auto ma a destinazione non sanno dove metterla, persone che non hanno alternative.

I tempi
Diventa strategico utilizzare questa fase intermedia per mettere in atto tutta una serie di provvedimenti a favore della mobilità “attiva” . Ogni città ha il dovere di affrettarsi a trovare soluzioni semplici, nuovi assi ciclabili e nuove “zone 30”, lanciare campagne di comunicazione con messaggi e azioni concrete per dare più spazio alla mobilità “attiva” e alla sicurezza stradale. Ma dovranno essere provvedimenti veloci, prevalentemente di segnaletica e di riorganizzazione delle corsie, per realizzare velocemente ed a traffico temporalmente ridotto, nuovi tracciati sicuri e continui. Oltre ai Comuni cui competono le pianificazioni e le attuazioni concrete, anche il Governo ed i Ministeri dovrebbero velocizzare decisioni o quantomeno diffondere queste linee di indirizzo su come estendere la velocità 30 km/h a tutti i centri urbani. È auspicabile coinvolgere i Ministeri di competenza, affinché ci sia un trasferimento rapido di fondi ai governi locali per la realizzazione di quanto richiesto sopra;  i sindaci ed eventualmente e direttamente l’ANCI per pianificare gli interventi comunali; le Regioni e le ferrovie per affrontare il tema del pendolarismo ed il trasporto delle biciclette.

Gli interventi per la mobilità ciclistica
Per potenziare in particolare la mobilità ciclistica, che come “Mobilità Attiva” tra l’altro aumenta il mantenimento in salute di chi la pratica, si dovrebbe provvedere ad agevolare la fluidità della circolazione di pedoni, ciclisti, “monopattinisti”, evitando il più possibile soste negli attraversamenti, nelle vie e negli ingorghi, in modo strategico per ridurre la possibilità di contagio, attraverso interventi come i seguenti, secondo priorità:

Con urgenza (estate 2020):

  • Attivare processi partecipati di quartiere per individuare assieme ai cittadini i punti più pericolosi della mobilità ciclistica (soprattutto in riferimento a quella “emergenziale provvisoria”);
  • Avviare campagne di manutenzione straordinaria dei percorsi ciclabili esistenti, mettendo in maggior sicurezza le intersezioni soprattutto come segnaletica orizzontale che sovente diventa sbiadita;
  • Introdurre o estendere le “zone 30 km/h” nei piccoli quartieri o negli isolati, meglio se organizzando la rete secondaria di strade interne in “sensi unici eccetto bici” a “loop” per evitare che possa utilizzarsi come rete alternativa di attraversamento rispetto ai percorsi principali. I piccoli quartieri o gli isolati devono connotarsi come “isole ambientali” con riappropriazione dei luoghi pubblici ai residenti per favorire poi le rinnovate socialità e attività condivise all’aperto, aiutando anche il piccolo commercio di vicinato;
  • Avviare la sperimentazione di zone 20 nei centri storici e nelle centralità dei piccoli paesi per favorire la capillarità nella rete della mobilità ciclistica;
  • Dedicare apposite corsie stradali alla circolazione ciclistica, possibilmente inserite in una rete di emergenza, anche con soluzioni semplici ed economiche come una semplice e veloce posa di coni o segnaletica orizzontale;
  • Consentire la percorrenza ciclabile nelle corsie dei bus anche nelle ore di punta nelle tratte non protette e con bassa frequenza di passaggi;
  • Posizionare conta biciclette per monitorare i transiti e valutare l’efficacia delle azioni intraprese;
  • Realizzare zone “scolastiche” per favorire la mobilità a piedi ed in bicicletta dei ragazzi verso le scuole, con introduzione di limite di 30 km/h o inferiori (fino a 15 km/h negli orari di punta);
  • Attivare e valorizzare la figura del mobility manager scolastico assegnando finanziamento e strumenti operativi ed organizzativi;
  • Pianificare l’aumento di ciclo parcheggi e ciclo stazioni presso le scuole e le principali centralità urbane;
  • Sviluppare con i datori di lavoro politiche di mobility management per promuovere l’uso della bicicletta verso le sedi lavorative favorendo l’utilizzo di servizi igienici e di bagni anche come spogliatoi per coloro che arrivano in bici;
  • Predisporre parcheggi bici sicuri, all’interno o nelle immediate vicinanze dei luoghi di lavoro, riconoscendo premi e visibilità a coloro che arrivano in bici;
  •  Avviare servizi urbani di accoglienza al cicloturista, come parcheggi protetti ove lasciare la bici carica con i bagli, esigenza molto sentita nelle cittadine di interesse storico – artistico, con ricarica per e-bike;
  • Ridurre il prezzo di un nolo del bike sharing e della micro mobilità a un livello paragonabile a quello di un’equivalente tratta sui mezzi pubblici;
  • In considerazione del probabile minor affollamento del trasporto pubblico per garantire il distanziamento sociale, consentire un maggior numero di biciclette a bordo di treni, anche negli orari di punta e, a discrezione del guidatore e in base all’affollamento, consentire anche il carico della bicicletta a bordo di autobus;
  • Promulgare la cosiddetta apertura porte all’olandese o “Dutch reach”, costituita dall’educare gli automobilisti ad aprire la portiera con la mano destra in modo da poter vedere la bici che arriva ed evitare di aprirla in faccia al ciclista;
  • Creare massicce campagne di informazione orientate a convincere i cittadini ad utilizzare la bici al posto della macchina, specialmente orientate a chi la bici potrebbe usarla ma la usa poco o per nulla. Importante creare campagne “attive”, ricche di buoni motivi ed esperienze positive e varie, studiate per il più ampio orizzonte di bersagli di utenza;
  • Creazione di nuovi incentivi pubblici, ma anche forti facilitazioni fiscali e/o economiche all’industria della bikeconomy, allo scopo di favore l’acquisto di bici muscolari o a pedalata assistita, con particolare attenzione e un maggior contributo in percentuale per i generi “meno sportivi” e più utili nella mobilità urbana, ovvero bici complete di parafanghi e nelle dotazione di luci regolamentari, con particolare focus per quei generi meno diffusi ma particolarmente versatili al trasporto intermodale (es. biciclette compatte e pieghevoli) o al trasporto di più persone e merci (tandem, bici cargo e rimorchi) o ai target “dimenticati” ma che vorremmo vedere di più in bici (bambini, donne, anziani o persone con disabilità o limitazioni motorie);
  • Sviluppare a livello ministeriale e regionale momenti di formazione per esperti che possano attivare in tutti comuni politiche hard (costruttive) e soft (organizzative) per la mobilità ciclistica.

Successivamente per consolidare e potenziare (inverno 2020/ inizio 2021)

  • Avviare programmazioni finanziarie per gestire il mantenimento dei vantaggi acquisiti nel periodo di transizione;
  • Sviluppare la presenza della nuova figura professionale di Esperto Promotore della Mobilità Ciclistica a livello comunale e regionale, anche costituendo un apposito ufficio specificamente preparato a farsi carico delle seguenti attività: coordinamento dei processi che riguardano la pianificazione e la realizzazione degli interventi, incentivazione allo sviluppo di esistenti e nuove realtà economiche generiche e di settore, creazione di nuovi prodotti turistici. Sostenere educazione e formazione relative ai precedenti temi ma anche in materia di prevenzione, di tutela dell’ambiente, di sicurezza stradale nonché di servizi sociali vari, di prossimità, di integrazione e inclusione. Costituire una sorta di “cabina di regia” capace di dialogare con le strutture tecniche, della comunicazione, con i mobility manager e con tutti i portatori di interesse allo scopo di promuovere la mobilità in bici, riconoscendo a quest’ultima la giusta dignità di mezzo di trasporto moderno, economico ed ecologico;
  • Coordinare reti di “riders” ciclabili per farmaci e alimentari o altro al servizio delle utenze deboli o da proteggere al contagio (p.es. over 70) che potrebbero rimanere in stato di limitazione dei movimenti a lungo;
  • Attivare bicibus verso le scuole e attività di insegnamento dell’uso della bicicletta ai bambini.

I diversi scenari a seconda delle dimensioni urbane
In linea di massima serve creare le condizioni per permettere ai cittadini di usare la bicicletta in sicurezza per gli spostamenti tramite identificazione e intervento di nuove tratte temporanee che possano, ove possibile, confluire anche con le reti ciclabili esistenti. Nelle grandi città è auspicabile che soluzioni momentanee create dedicando parte della sede stradale a percorsi ciclabili favoriscano spostamenti individuali su larga scala. Ad esempio la struttura radiale di molti viali larghi 2 corsie per senso di marcia sui quali gli spazi da destinare alle biciclette potrebbero essere anche una intera corsia per senso di marcia. Nei quartieri in genere gli spazi da destinare alle biciclette potrebbero essere in promiscuo con l’estensione delle zone 30 a tutta la rete stradale di ambito di quartiere. La durata di tale scenario potrebbe essere valutata in 6 mesi arrivando alla fine di ottobre e quindi favorita dalla migliore finestra climatica per la mobilità ciclistica e la micromobilità. Nelle città medie gli spostamenti medi sono già più compatibili con la bicicletta. Vista la minor presenza di viali larghi, gli spazi da destinare alle biciclette potrebbero essere in promiscuo con l’estensione della “zona 30” a tutta la rete stradale urbana. Nelle città piccole gli spostamenti medi sono in genere decisamente inferiori ai 3 km e pertanto sempre compatibili con la bicicletta, pertanto gli spazi da destinare alle biciclette potrebbero essere in promiscuo con l’estensione della “zona 30” a tutta la rete stradale urbana. In tutti gli scenari suddetti è strategico partire da quanto già pianificato dalle amministrazioni comunali come ad esempio attraverso i PUMS, laddove esistenti, o piani di urbanistica locale, a meno di ulteriori progetti organici disponibili rapidamente. In clima emergenziale si dovrà dare attuazione provvisoria allo scenario ipotizzato e studiato in funzione della mobilità del futuro. Non si tratta infatti di disegnare solo la mobilità di riapertura, ma anche di anticipare in clima emergenziale quella già pianificata. Ciò permetterà di abbreviare i tempi attuativi della rete di emergenza e come effetto secondario si coglierà l’occasione di dare una visione su ciò che “potrà essere” il futuro, pensando anche ai più alti obiettivi dell’Agenda 2030.